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Франческо Доменико Гверрацци - Итальянский с любовью. Осада Флоренции / Lassedio di Firenze

Читать бесплатно Франческо Доменико Гверрацци - Итальянский с любовью. Осада Флоренции / Lassedio di Firenze. Жанр: Разное издательство -, год 2004. Так же читаем полные версии (весь текст) онлайн без регистрации и SMS на сайте kniga-online.club или прочесть краткое содержание, предисловие (аннотацию), описание и ознакомиться с отзывами (комментариями) о произведении.
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“Muori!” – urlò pieno di tremenda esultanza il Bandino, e curva la gamba sinistra, stesa la destra, ambe le mani levate, l’intero corpo acconsentendo all’urto, si atteggiava a fendere fino al mento la testa del caduto; ma non ancora aveva percorso la metà del giro, che un’altra idea di vendetta più truce gliela fermò, né gli parendo potersi ormai trattenere più oltre, chiuse le mani, e la spada cadde inoffensiva sul fianco del Martelli; lui poi si rimase con le braccia aperte nella guisa dell’uomo che manda una maledizione: infatti lui intendeva lasciare a quel prostrato la vita come una maledizione. Se muore, – lui pensò, – il suo tormento cessa; se vive, gli si rinnoveranno ogni giorno i dolori della morte; non che torgli il sentimento, avrebbe dovuto dargli parte del suo; se non sente, non soffre, ed lui stava per aiutarlo a riparare dietro al sepolcro! Oh! viva e racconti la sua bocca al mondo la disfatta patita, palesi il suo aspetto al mondo la propria vergogna, duri testimonio vivente che Dio non esiste, o, esistendo, non prende cura degli uomini; o se pure la prende, i suoi giudizi paiono oltraggi di cinico, non già consigli di suprema intelligenza.

“Vivi!” – replicò il Bandino; – “tu mi salvasti la vita, io te la rendo. Dio ha giudicato tra me e te: impara a rispettare chi val meglio di te: il cielo ti dichiara traditore… non sono loro infallibili i decreti del cielo?”

“Tu hai vinto la persona… e non la querela....”

“Ho vinto l’una nell’altra… arrenditi!”

“Dio mi ha abbandonato… una volta abbandonò il suo figliuolo… adesso abbandona la libertà… ma che più nulla di divino deve durare sopra la terra?”

“Arrenditi!”

“Mi arrendo al marchese del Guasto…”

“A me devi arrenderti… a me che tengo sotto i miei piedi la tua testa…”

“Oh! io mi arrendo…”

E che? Lui aveva giurato di voler morire, lui un’ora innanzi avrebbe tagliato la gola a chiunque si fosse osato proporgli di comporsi in pace col Bandino; e adesso si arrende così? Gran parte e la migliore di sé gli sfuggiva dal cuore insieme col sangue; dianzi le arterie gli vibravano piene di vita, adesso languidissime sembra appena che palpitino; il dolore gli tiene l’anima ingombrata per modo che non lascia luogo a pensiero di sorte. Quanti superbi disegni si porta via la vecchiezza! Quanti orgogliosi proponimenti all’appressarsi della morte impallidiscono! Gli anni penetrano nel sangue, come il mercurio, e lo irrigidiscono; la stupidità, scacciati via l’odio e l’amore dal cuore umano, se ne compone quasi un sepolcro di pietra; l’uomo è signore del momento presente; e tosto che conosce esserne signore, il momento ì passato; quello che segue rimane fuori della sua potestà.

Da ambedue le parti sconfitta: dall’un lato e dall’altro silenzio di trombe, mormorio di voci inquiete: i baroni tedeschi e spagnuoli irrompendo dentro lo spazio vietato ricordavano i colpi e le vicende del duello.

“È stato un nobile duello, quale avrebbero potuto combattere due cavalieri castigliani!” – esclamava uno Spagnuolo, cui uno smilzo Tedesco rispondeva:

“Certo degno di due baroni alemanni.”

La querela dichiararono non persa nì vinta, e dalle genti credule fu reputato segno che la fine della guerra avesse ad essere per ambedue le parti infelice; per la quale cosa avesse a giudicarsi la ragione stare di qua e di là, o piuttosto non fosse ragione in nessuna.

Dante avendo con giuramento dichiarato ultima volontà del morto Aldobrando essere stata di avere sepoltura negli avelli de’ suoi maggiori, potè trasportarsi seco il suo cadavere. Lo accomodò pertanto con amore infinito dentro ad una bara, lo fece con diligenza lavare, poi gli mise attorno l’armatura completa, sicchì pareva un guerriero il quale col sonno rifacesse le forze.

Nell’altra bara composero il Martelli.

Sul torre commiato dal principe, in segno di militare onoranza, ordinò si sparassero tutte le artiglierie; al quale frastuono la città, paurosa di sventura, rimase taciturna.

Capitolo Ventesimoquarto

Il sacco di Prato

Vico, Annalena e il padre di lei, affidati a poderosi cavalli, fuggivano traverso la moltitudine dei nemici; ogni speranza di salute ponevano nella velocità. E a Vico, oltre quei due capi diletti, importava di porre in salvo cosa da cui forse pendeva la salute della Repubblica; la commessione dei Dieci al Ferruccio di tentare gli estremi rimedii alla tutela della patria: lui non aveva potuto consentire di separarsi dal fianco nei pericoli di quella fuga la sua amata Annalena; malgrado il disagio, la volle seduta in groppa al suo corsiero e con ambedue le braccia stretta intorno alla sua vita. In questo modo correvano e non proferivano parola.

Venuti al sommo di una altura, lanciano lo sguardo nella sottoposta vallata e vedono facelle andare in volta di su e di giù, quasi lucciole vaganti alla campagna nelle notti di estate. Da prima Vico n’ebbe sospetto; si fermarono tutti; all’improvviso uscendo lui dalla meditazione, “Avanti”, – esclamò, – “non v’ha pericolo… indovino l’avventura”.

Davano forte degli sproni nei cavalli per lasciare il luogo maledetto; ma la fortuna parava loro davanti uno scontro. Le zampe del cavallo del vecchio Lucantonio percuotono sul petto di un giacente traverso il cammino; le ossa delle costole sotto il colpo sgretolarono, l’aria violentemente compressa si sviluppa dalle viscere e manda suono come di sospiro: fremerono tutti e scesero precipitosi di sella.

Con molta cura furono attorno al giacente, e lo ponendo a sedere, se residuo alcuno gli fosse rimasto di vita investigarono; male però riuscivano nei tentativi loro, sepolti com’erano d’ogni intorno nel buio. Come volle fortuna, alcuni villani carichi di preda passavano quinci poco discosto portando lanterne, li chiamarono e li pregarono per Dio volessero essere cortesi di aiuto a cotesto infelice. E poiché l’uomo è creatura strana, sebbene nel richiamare quel nemico alla vita corressero rischio di consumare poi a sanarlo parte e forse tutta la preda, accorsero i villani alla voce di carità e lo sovvennero.

Appena però eransi curvati, si rialzarono atterriti da un urlo spaventevole che aveva gittato il vecchio, e nel punto medesimo lo videro protendersi ferocemente, avventare le mani intorno al collo di quel corpo, quasi intendesse strangolarlo; per certo il furore gli accecava l’intelletto, dacché, scorto il giacente alcun poco al chiarore del lume, conobbe essere da gran tempo fatto cadavere.

Il vecchio muta all’improvviso consiglio; toccato appena il giacente, si rileva da terra e, scopertosi il capo, gli occhi affissando al firmamento favella in suono ispirato: “Dove passò la vendetta di Dio che cosa mai aggiungerebbe la mano dell’uomo? Io aspettai lunghi anni invano questa vendetta, e poichì non la vidi, ti rigettai dal mio seno, ora che hai posto l’uccisore del figlio sotto la zampa del cavallo del padre, io tremo tutto davanti alla tua tremenda giustizia, o Signore!”

Tacque e dopo un silenzio non breve riprese:

“Costui, non che i più scellerati tra gli uomini, vinse in nequizia le più feroci tra le belve; però la sua iniquità non toglie l’obbligo a voi di mostrarvi pietosi, dacché lui ebbe nascendo il segno della salute: dategli pertanto sepoltura, ma non gli ponete memoria; il suo nome rammenterebbe delitti che per decoro della umana natura è bene s’ignori che possano essere stati commessi: non gli dite preghiera, ella andrebbe dispersa; comunque infinita la misericordia di Dio, i suoi misfatti la superano. Patria di quell’anima era l’inferno”.

Il vecchio si allontanò; abbandonate le redini, si lasciava in balia del cavallo; avvertito di badare alla strada, non pareva intendesse; domandato a grande istanza più volte chi fosse colui del quale gli era occorso il cadavere e per quali casi a lui noto, non dà risposta: molti argomenti adoperati e tutti riesciti a vuoto, Annalena e Vico non cercano rimuoverlo dal suo pertinace silenzio.

“Significate al signor commissario che Vico Machiavelli giunto or ora da Firenze ha da consegnarli lettere degli magnifici signori Dieci di libertà e guerra”, – diceva Vico, smontato in Empoli al quartiere del Ferruccio, alla lancia spezzata che v’era posta di guardia.

“Non si può. Il commissario ha comandato che per cosa al mondo non si turbasse prima dell’Ave maria del giorno”.

“Andate tuttavia; e se dorme, svegliatelo”.

“Ferruccio non dorme: guardate quella grand’ombra sopra l’opposta muraglia, ì il signor commissario Ferruccio che passeggia su nella sala del primo piano”.

“Dunque avvisatelo”.

“Non si può; l’ordine non lo concede”.

“Almeno portategli o fategli portare questo piego”.

“Non si può; l’ordine non lo concede”.

“Il diavolo riposi le tua ossa”, mormora tra i denti Ludovico, e subito dopo riprese:

“Ebbene, tostochì giunge l’Ave maria recategli questi fogli: se mi vorrà, ditegli che sono al quartiere; se mal ne avviene, il mio debito ì compito.”

E quinci si partiva sdegnoso; ma appena fu in lui un poco queto quel primo impeto d’ira, ripensando come il Ferruccio, avendo tolto l’arduo incarico di ripristinare l’onore della milizia italiana, doveva mostrarsi zelantissimo della disciplina, e il danno poco ed incerto che poteva derivare dal soverchio rigore non era da paragonarsi a gran pezza al danno immenso e sicuro che sarebbe nato dalla troppa rilassatezza, – concluse, siccome gli avveniva il più delle volte, di dar torto a sé, ragione al Ferruccio.

Si ridusse ai quartieri – apre la porta rimasta socchiusa, penetra nella stanza e vede Annalena e il padre di lei seduti davanti al focolare e così sprofondati nelle proprie meditazioni che non si accorsero della sua presenza, presa pertanto una scranna, lui si pose dall’altro lato del focolare di faccia a Lena.

Lucantonio all’improvviso, senza muovere ad atto alcuno le membra, senza quasi agitare le labbra, come se la voce partisse da precordii di pietra, in suono roco parlò:

“Annalena…, voi cesserete d’ora in poi di chiamarmi padre… Perché… Perché voi non siete mia… figlia…”

Passò forse mezza ora di tempo, a capo della quale Lucantonio, ma questa volta con voce tremula, che l’umanità tornava a soperchiare sul cuore del vecchio, riprende:

“E mi era così dolce sentirmi chiamar padre…! e da te, Lena! ed ora mi chiamerai Lucantonio senz’altro, Perché non mi sei figlia”.

La passione gittò gli argini; scoppiò da’ suoi occhi irrefrenato il pianto; strinse con impeto convulso tra le sue braccia Annalena, ed Annalena lui: pareva ambedue s’ingegnassero mantenere a forza di amore quanto avesse potuto perdere per natura il vincolo che da tanti anni gli univa.

“Ahimé!” – riprese il vecchio ponendo una mano sopra la fronte alla fanciulla, “questo tuo capo innocente non seppe immaginare il male neppure all’insetto che ti pungeva, ed ora dovrà contenere il germe dell’odio ch’io vi semino dentro… Dio voglia che rimanga senza frutto! D’ora in poi, quando camminerai tra i campi nel bel mese di maggio, i fiori non avranno più profumi per te, non più canto gli uccelli, non più sorriso la natura: occuperà l’anima intera una tremenda contemplazione di misfatti; i tuoi sogni verginali cesseranno, atroci fantasmi ti sveglieranno nella notte, e tu stenderai paurosa la mano sul guanciale, Perché nel sogno ti sarà apparso temperato di sangue: ascoltami, io ti racconto una storia funesta; tu la crederai appena, tanto ella è truce; io la vidi con questi occhi, con questo cuore io la sentii, e forse non ti rendo con le parole la millesima parte del vero. E Lucantonio riprese: Quel uomo che avete veduto, or non è guari, cadavere miserabile sotto le zampe del mio, era Naldo Monaldeschi, traditore e omicida dei tuoi genitori e della mia famiglia, Annalena. Tu nasci dei Tosinghi e sei di Prato; io nacqui in Casa di tuo padre; a lui per fortuna sarei stato famiglio, ma l’amore ammendando i torti della fortuna ci volle fratelli, imperciocché morì nascendo lui la madre sua, noi bevemmo la vita dal medesimo seno, e le nostre braccia s’intrecciarono da pargoli sopra un medesimo collo”.

Vico, Annalena e Lucantonio si strinsero in un solo abbracciamento e proruppero in grido doloroso. Annalena giunse le mani e alzandole al cielo diceva:

“O Signore, io sperava tu mi avessi conceduto la vista della mia genitrice”.

…I giovani stavano per consolare Lucantonio, quando furono trattenuti da un secondo colpo più fortemente bussato.

Capitolo Ventesimoquinto

Volterra

Era Francesco Ferruccio. Lui s’inoltrò con passi gravi, e in sembiante severo; ma quando vide la fanciulla atteggiata di dolore, quasi statuetta che un bel pensiero di artista abbia posto sul sepolcro di un primogenito o di sposa nuovamente divelta dalle braccia – forse dal cuore – dell’amato consorte quando dal volto di Vico e di Lucantonio conobbe l’angoscia esser passata colà, di severo divenne mesto ed appoggiò il gomito destro sul pomo dello spadone, sopra la mano la faccia. E dopo alcun tratto di tempo incominciò:

“Ludovico, io sono venuto a dirvi addio. Prima che nasca il sole, mi ì forza partire in servizio della Repubblica per impresa piena di pericolo e di gloria. I giorni dell’uomo sono uguali ai passi del viandante, – i giorni del soldato trovano appena paragone nei passi del cavallo che fugge”.

Ludovico alzò gli occhi attonito e rispose:

“Perché rimango io?”

“Per ordine dei signori Dieci consegnerò” la terra al nuovo commissario Andrea Giugni…”

Costui conobbi sempre studioso della licenza, la quale, finché non trovi luogo a dimostrarsi nel suo brutto sembiante intera, assai sovente si scambia con la libertà, uomo di corrucci e di sangue, non di quell’animo fermo che i gravi casi della patria domandano, di costumi corrotto e superbo, ogni bene riposto nei grossolani diletti della vita. La impresa a cui mi prepongono i Dieci gioverà assai alla salute di Firenze, Perché, vincendola, come, da Dio sovvenuto, confido, ridurrà alla sua devozione una città ribelle, e il suo credito scaduto verrà a rinverdire; in ogni caso, scemerà forza all’esercito, Perché Orange manderà gente a tentare di ricuperarla. Però il danno non compenserebbe il vantaggio perdendo Empoli: finché conserviamo questa terra, non sarà mai spacciata la patria; la campagna ci è aperta fina a Pisa, comodissima ci sovviene la facilità di provvedere gli assediati; insomma il Palladio di Firenze si conserva qui dentro. Or dunque voi comprendete di quanta importanza mi sia lasciarvi persona sicura che vigili attentissima tutti i casi che possono accadere alla giornata e me ne ragguagli con diligenza”.

“Ma”, – riprese esitando Ludovico, – “la promessa che voi faceste al padre mio moribondo mi suona diversa; o non prometteste voi ch’io vi sarei morto al fianco per la patria combattendo?”

“Vico, io non muto mai; ma dite: voi da quel tempo in poi nulla vi sentite mutato? Allo amore di patria non si mescolò per avventura un altro amore? Vostro malgrado, non si levò nel cuor vostro un istinto di conservazione per la vostra vita dacché un’altra vita vi preme molto più della vostra? È santo il vostro affetto, ed io lo approvo; pure sarebbe stato meglio che vi avesse acceso in altra stagione. Ma i fati reggono gli eventi; io poi non domando mai cose superiori alla umana natura; male, penso, si lascia il fianco della sposa per affaticarsi quotidianamente al raggio del sole in battaglia”.

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